Il mio MODULOR
- Erika Di Felice

- 24 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Cari amici,
benvenuti in questo mio personalissimo spazio di ricerca, che nasce dall'idea di una professione costantemente contaminata da ogni genere di suggestione possibile, più o meno interna al mondo dell'arte.
La domanda principale che mi pongo è: in che modo oggi si può parlare della professione dell'architetto, in un momento storico in cui sempre più persone accostano l’architettura a una questione di moda, di tendenza, anche per via di un divario sempre più profondo tra una comunicazione del progetto pubblicitaria, patinata e una sempre più tecnica e specializzata?
Come sta cambiando il modo in cui si considera la figura dell'architetto, in un frangente in cui è sempre più frequente la confusione – quando anche non la sostituzione – con quella del designer?
E ancora, di cosa si sta occupando sempre di più l'architettura; verso quali ambiti e modalità di lavoro si sta orientando e in che modo il digitale sta intervenendo nel modificare approcci e forme della progettazione?
Ma soprattutto: cosa significa abitare e quanto questo coincide e incide sulla nostra identità?
Quanto della nostra umanità si gioca a contatto con l'architettura?
Ecco, da queste prime domande di certo emerge una questione: l'architettura può essere definita certamente una disciplina inquieta, benché in molti si ostinino a ingabbiarla in una griglia rigida di razionalità e disciplina, e di certo inquieta lo è nel suo modo di tendere per sua natura ad avere confini sfumati, permeabili.
E alla fine molto probabilmente è proprio questo a rendere davvero entusiasmante questo mestiere: come un brano jazz, l'architettura non è mai uguale a sé stessa.
Essere architetto vuol dire avere la possibilità di essere tutto: poter progettare case, grattacieli, teatri, musei, ospedali, carceri; definire piani urbanistici e stabilire così nuove modalità di fruizione dello spazio; potersi occupare di restauro come di scenografie; di progetti grafici, allestimenti di mostre, installazioni artistiche, elementi di arredo, utensili, parti meccaniche.
"Dal cucchiaio alla città" - diceva Ernesto Nathan Rogers – e questo piccolo spazio sarà il luogo in cui mi accompagnerete nelle terre di mezzo dell'architettura, interrogando i grandi architetti, lo stato delle cose, le mode del momento, le tendenze, le mie personali passioni e suggestioni, stabilendo delle corrispondenze, cercando la radice delle connessioni tra le arti più disparate possibili.
Tratterò l'architettura secondo la mia visione: una sorta di grande testo attraverso il quale leggere la realtà, definendo sottotesti per provare a meglio comprendere cosa voglia dire architettura come narrazione e poesia del mondo.
Tenteremo anche di capire come architettura e poesia non siano da considerarsi completamente disgiunti (mi perdonerà Hegel, che nell’Estetica le pone agli antipodi del “sistema delle singole arti”) di volta in volta indagando le forme della scrittura (grafica e architettonica), le narrazioni delle città da parte dei poeti e degli architetti; studiando forme di narrazione dell'architettura ed esempi di architettura narrante; scoprendo la vera e propria "poesia delle cose", così come la intendeva Vittorio Sereni.
E poesia di noi.



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